La rimozione del presidente ucraino Viktor Yanukovich nel fine settimana con un vero e proprio colpo di stato, guidato nelle piazze da formazioni armate neo-naziste incoraggiate dall’intervento occidentale a favore dell’opposizione, è stata seguita lunedì dall’emissione di un mandato di arresto ai danni dell’ex leader del paese dell’Europa orientale da parte delle nuove autorità provvisorie di governo a Kiev.
Ad annunciare la decisione è stato l’appena nominato ministro degli Interni, Arsen Avakov, membro del partito “Patria” dell’ex premier ed oligarca Yulia Tymoshenko, protagonista a sua volta di un’apparizione pubblica dopo che aveva beneficiato della frenetica attività legislativa del Parlamento nei giorni scorsi, vedendosi improvvisamente cancellata una condanna a sette anni per corruzione.
Yanukovich sarebbe accusato di “uccisioni di massa di civili” assieme ad altre personalità a lui vicine nell’ambito degli scontri che settimana scorsa avevano causato un centinaio di decessi in seguito agli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti armati.Ad annunciare la decisione è stato l’appena nominato ministro degli Interni, Arsen Avakov, membro del partito “Patria” dell’ex premier ed oligarca Yulia Tymoshenko, protagonista a sua volta di un’apparizione pubblica dopo che aveva beneficiato della frenetica attività legislativa del Parlamento nei giorni scorsi, vedendosi improvvisamente cancellata una condanna a sette anni per corruzione.
Dopo essere fuggito da Kiev, tuttavia, l’ormai ex presidente sembra avere fatto perdere le proprie tracce. Secondo i resoconti dei media, Yanukovich era dapprima volato con un elicottero nella città orientale di Kharkov per poi raggiungere una sua residenza a Balaklava, in Crimea, dove avrebbe licenziato le sue guardie personali.
La brusca fine della presidenza Yanukovich appare estremamente significativa alla luce degli eventi che avevano segnato i giorni precedenti, sui quali è tutt’altro che superfluo tornare. Innanzitutto, solo poche ore prima della fuga da Kiev e dalla sua deposizione con un voto del Parlamento, Yanukovich aveva firmato un accordo con le forze di opposizione mediato dai ministri degli Esteri di Germania, Francia e Polonia, rispettivamente Frank-Walter Steinmeier, Laurent Fabius e Radoslaw Sikorski.
Yanukovich aveva cioè ceduto alle pressioni occidentali, accettando condizioni che avrebbero limitato notevolmente i propri poteri. In particolare, ciò sarebbe avvenuto attraverso la reintroduzione della Costituzione del 2004 approvata dopo la cosiddetta “Rivoluzione Arancione” orchestrata da Washington e che avrebbe, tra l’altro, sottratto al controllo presidenziale i vertici dei servizi di sicurezza. Inoltre, elezioni presidenziali e parlamentari anticipate erano state fissate entro dicembre.
L’intesa si è rivelata però del tutto inutile, anzi è servita unicamente ad indebolire il presidente, esposto a un nuovo assalto dei gruppi di estrema destra interessati solo alle sue dimissioni immediate e a sradicare l’influenza russa sull’Ucraina. Su queste formazioni, i leader politici dell’opposizione – Arseniy Yatsenyuk del partito “Patria”, l’ex campione di boxe Vitali Klitschko del partito UDAR sponsorizzato dai conservatori tedeschi e Oleg Tyahnybok del partito neo-fascista Svoboda – non hanno potuto esercitare alcun reale controllo, anche se il loro intervento decisivo non è stato scoraggiato in nessun modo, visto che essi stessi avevano fatto affidamento sulle milizie armate per destabilizzare il regime fin dallo scoppio della crisi lo scorso novembre.
Nella serata di venerdì, gruppi apertamente fascisti come “Settore Destro” hanno dunque preso il controllo di alcuni edifici e punti nevralgici della capitale, così che il Parlamento ha finito per agire nonostante il precedente accordo, prendendo decisioni di dubbia legalità in merito alla sorte di Yanukovich.
Assieme alla rimozione del presidente, sono stati destituiti svariati ministri e nominati altri al loro posto, in attesa di un nuovo governo che dovrebbe essere insediato nella giornata di giovedì. Allo “speaker” del Parlamento, Oleksandr Turchynov, anch’egli del partito “Patria”, sono stati invece assegnati i poteri presidenziali fino alle elezioni, indette per la fine di maggio. Con un clamoroso voltafaccia, anche molti deputati del Partito delle Regioni di Yanukovich hanno votato con l’opposizione, emettendo inoltre un comunicato che assegna tutte le responsabilità della crisi in corso al deposto presidente.
Di fronte a questi eventi, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha denunciato l’opposizione ucraina per avere preso il potere “in maniera illegale”. Mosca, inoltre, ha richiamato in patria il proprio ambasciatore a Kiev per “consultazioni”.
Gli Stati Uniti e i governi europei hanno al contrario salutato l’azione del Parlamento, in linea con i loro sforzi che sono risultati determinanti nello svolgersi del colpo di stato a danni di Yanukovich. Ben lontani dagli scrupoli democratici che stanno riempiendo la retorica dei comunicati ufficiali occidentali in queste ore, le vere motivazioni dietro lo svolgersi dei fatti a Kiev hanno a che fare esclusivamente con i calcoli strategici delle potenze coinvolte.
Il desiderio di Washington e Bruxelles è stato cioè fin dall’inizio quello di strappare la più importante ex repubblica sovietica all’influenza della Russia. Ciò è ampiamente confermato anche dal fatto che nessuno in Occidente ha manifestato riserve nei confronti di un’opposizione di piazza dominata da forze neo-naziste violente. Il perseguimento senza scrupoli dei propri obiettivi strategici è risultato d’altra parte evidente già in varie occasioni solo in questi ultimi anni, ad esempio con l’appoggio garantito a milizie integraliste nella battaglia per il cambio di regime in Libia e in Siria.
D’altro canto, il regime di Yanukovich è crollato miseramente proprio per la diffusa ostilità incontrata nel paese e per la conseguente assenza di una reale base popolare. Questa realtà ha permesso la presa del potere da parte di un’opposizione filo-occidentale interessata a promuovere i propri interessi e quelli di una ristretta cerchia di oligarchi orientati verso l’Europea, nonché pronta a mettere in atto misure dettate dagli ambienti finanziari internazionali che devasteranno ulteriormente il tessuto sociale ucraino.
In definitiva, la crisi di questo paese è stata per il momento risolta, oltre che dalle violenze di gruppi di estrema destra, dall’intervento di governi stranieri e dal prevalere della volontà di guardare all’Occidente degli oligarchi ucraini, i quali hanno appoggiato una scelta valutata come la più opportuna per difendere o incrementare le proprie ricchezze costruite sul saccheggio dei beni pubblici in seguito alla fine dell’era sovietica.
Sul futuro immediato dell’Ucraina e sul reale successo ottenuto da Washington e Bruxelles pesano comunque molte incognite, a cominciare proprio dallo scatenamento di forze radicali, alcune delle quali legate storicamente all’occupazione della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. Inoltre, nonostante la sostanziale impopolarità del regime di Yanukovich, le regioni orientali dell’Ucraina rimangono culturalmente ed economicamente legate alla Russia. Mosca, poi, considera il suo ex satellite fondamentale dal punto di vista strategico, valutando come una concreta minaccia l’interferenza occidentale, per non parlare di un possibile allargamento della NATO a Kiev, per alcuni osservatori il vero obiettivo delle manovre di questi ultimi mesi.
La gravità della situazione e i timori per una possibile reazione di Mosca sono stati rivelati anche dalle dichiarazioni rilasciate domenica alla NBC dalla consigliera per la sicurezza nazionale di Obama, Susan Rice, la quale ha affermato che il Cremlino commetterebbe un “grave errore” se dovesse decidere di inviare un proprio contingente militare in Ucraina per reinsediare un governo filo-russo.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea, in ogni caso, si stanno già muovendo per offrire all’Ucraina un pacchetto di aiuti finanziari attraverso il Fondo Monetario Internazionale (FMI) dopo che i nuovi leader provvisori a Kiev hanno espresso parere favorevole ad uno scenario simile e la Russia ha sospeso l’erogazione della seconda tranche dei 15 miliardi di dollari promessi al governo appena deposto. Lunedì il presidente ad interim Turchynov ha incontrato la numero uno della diplomazia UE, Catherine Ashton, verosimilmente per discutere i termini di un riavvicinamento a Bruxelles, mentre il Parlamento ha accettato le dimissioni del presidente della Banca Centrale ucraina, Ihor Sorkin, il quale verrà sostituito da Stepan Kubiv, già espressosi a favore del prestito del Fondo Monetario.
Prevedibilmente, l’intervento dell’FMI arriverebbe solo in cambio di “riforme” economiche, come ha ricordato minacciosamente agli ucraini che stanno festeggiando la caduta del presidente Yanukovich la sua direttrice, Christine Lagarde, nel corso di un summit dei ministri delle Finanze del G-20 andato in scena a Sydney. Le condizioni che i giornali indicano come “necessarie” per accedere al prestito del Fondo comporteranno un grave peggioramento delle condizioni di vita per la grande maggioranza della popolazione, come l’aumento sostanziale del costo delle forniture di gas, la svalutazione della moneta nazionale e il taglio drastico della spesa pubblica.
Tra i numerosi leader occidentali che si sono precipitati ad assicurare un futuro prospero per l’Ucraina in seguito all’abbraccio di Washington e Bruxelles, il più esplicito è sembrato essere infine il commissario europeo per gli affari economici e monetari dell’UE, Olli Rehn. Quest’ultimo, anch’egli da Sydney, ha per la prima volta prospettato un possibile ingresso nell’Unione Europea dell’Ucraina “nel medio o lungo periodo”, sempre se “le condizioni di accesso saranno rispettate”.
Viste le conseguenze della medicina somministrata a forza ai paesi europei in difficoltà da Bruxelles, le parole di Rehn, così come le iniziative occidentali per favorire l’instaurazione a Kiev di un governo guidato dai partiti di destra già all’opposizione, suonano come una pesante minaccia per tutti gli ucraini che, come nel 2004, rischiano di risvegliarsi in fretta dal sogno di una nuova “rivoluzione” pianificata nelle cancellerie occidentali.
Michele Paris
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