Debito

venerdì 21 giugno 2013

Quando si sveglieranno gli studenti italiani ?

- Fausto Corvino -
Dopo la Turchia il Brasile. Da alcuni giorni Brasilia, San Paolo, e Rio De Janeiro sono state invase da migliaia di giovani manifestanti. Decine di migliaia di persone. Per dire no. No all’aumento del costo degli autobus. No all’aumento del costo della vita. No ai servizi pubblici inefficienti e inadeguati. No alle spese folli per i prossimi Mondiali di calcio. E anche qui come a Istanbul ci sono stati scontri violenti. La polizia ha risposto con proiettili di gomma, con gas lacrimogeni, pestaggi. E anche qui, come a Istanbul, i ragazzi che hanno aderito alla protesta non si sono fatti intimorire. Sono rimasti sulla strada. A Brasilia i manifestanti hanno circondato il Parlamento e hanno incominciato a ballare intorno alla struttura, senza paura.
Prima di loro i ragazzi Turchi, i ragazzi Marocchini, i ragazzi Egiziani, i ragazzi Greci, i ragazzi Libici, i ragazzi Americani di Zuccotti Park, le ragazze Ucraine di Femen, i ragazzi che da diversi Paesi Europei sono confluiti a Francoforte per contestare le politiche della Bce. Forse dall’Italia non si riesce a percepirlo ma gli ultimi cinque sono stati anni violenti. Anni in cui una generazione di ventenni ha deciso di opporsi, per la prima volta dopo tanti anni. Opporsi a tante cose, e cose diverse. Perché diversi sono stati i contesti delle proteste. L’idea comune è stata però quella di interrompere una continuità. Di governi autoritari, di politiche di austerità che calpestano la dignità umana, di forme di sfruttamento, della povertà, delle disuguaglianze di reddito in trend crescente.
La cosa incredibile di tutto ciò è che dopo anni di propaganda individualistica, di divinizzazione dell’individuo-impiegato e delle sue capacità produttive, descritte come armi da utilizzare in una lotta per la sopravvivenza in cui ci saranno vinti e sconfitti, la mia generazione, una generazione di ventenni che molti credevano più assopita delle precedenti, ha deciso di battersi per idee collettive. Siano esse la democrazia, la giustizia sociale, il rispetto degli esseri umani.
In Italia però non è così. I giovani italiani si sono tenuti lontani e distanti da ogni movimento di riforma e cambiamento sbocciato nel Mondo nell’ultimo lustro. Eppure la Repubblica Italiana sta vivendo anni terribili, i più cupi della sua breve storia. Durante l’ultima puntata del programma televisivo “Piazza Pulita” sono rimasto colpito da un breve intervento di Enrico Mentana. L’ex direttore del Tg5 si chiedeva cosa aspettassero i giovani italiani a organizzarsi, a scendere nelle piazze, a protestare. Gli abbiamo rubato il futuro, ha aggiunto. Noi da ragazzi ci siamo ribellati per molto meno.
Non aspettano nulla, purtroppo. I lavoratori italiani sono allo stremo. Una dopo l’altra chiudono tutte le imprese. I negozi. La disoccupazione è alle stelle. La pressione fiscale ha raggiunto vette finora sconosciute. I servizi sociali vengono continuamente sfregiati da sforbiciate quotidiane che ci spingono verso il baratro dell’inciviltà. Scuole, ospedali e trasporto pubblico sono al collasso. In molti casi sono già collassati. E’ tornata la fame. Lo Stato è ufficialmente fallito quando la scorsa estate Emergency ha iniziato a operare anche in Italia per curare pensionati e disoccupati. In tutto ciò però Capgemini e RBC Wealth Management ci fanno sapere che nell’ultimo anno la ricchezza finanziaria privata è aumentata del 4,5%. Nel 2011 le persone italiane con una ricchezza finanziaria investibile pari ad almeno un milione di dollari erano 168.000. Oggi sono 176.000, e controllano 336 miliardi di dollari.
Università pubbliche (e anche private) di bassissimo livello, assenza di borse di studio e residenze studentesche, una corruzione rampante e un crollo del potere d’acquisto costituiscono un cocktail mortale che uccide la mobilità sociale. In queste condizioni se parti povero diventerai ancora più povero. Le speranze di risalire la scala sono quasi nulle.
Ma i giovani italiani non trovano la forza di organizzarsi e cercare di scardinare questa situazione di soggiogazione sociale. Se negli altri Paesi c’è una domanda crescente di giustizia e una reazione culturale all’idea di austerità propugnata dalle istituzione finanziarie internazionali, in Italia i giovani sembrano vittime di un sonno generazionale. Ovviamente percepiscono la crisi, la sentono, alcuni anche parecchio, ma non riescono a reagire in maniera collettiva. L’unica risposta che riescono a dare ha un carattere individuale.
In quasi tutti gli atenei italiani non si discute di cultura, di economia, di politica. Si parla di esami, di medie ponderate, di tesi. A parte alcuni centri culturali nati nelle città più grandi, per il resto c’è un appiattimento spaventoso. Nessuno si preoccupa dell’economia globale, nessuno prova a dare una risposta seria ai concetti di austerità e di pareggio di bilancio. Nessuno parla di mobilità sociale, neppure i ragazzi che rischiano di diventare più poveri dei loro genitori. Di fronte alla crisi ci si chiude in casa, a memorizzare informazioni necessarie per superare esami (molti definiscono questa cosa “studio”) che poi danno diritto a un numero compreso tra il 18 e il 30, che poi viene sommato a tanti altri numeretti ottenuti con questo stesso sistema di memorizzazione, che poi vengono divisi, moltiplicati, insomma diventano un unico numero, la media, che poi si trasforma in un altro numero (si spera un 110) ottenuto dopo aver parlato per una decina di minuti di fronte a dei signori annoiati, disposti lungo un tavolo. Queste complesse operazioni matematiche dovrebbero servire a determinare un punteggio che poi si spera possa aiutare a ottenere una fonte di reddito, sufficiente a scappare dal morso della crisi. Non c’è tempo per fermarsi un attimo, e ridiscutere tutto il sistema universitario. Il sistema universitario non si mette in discussione, mai. Perché ogni critica e protesta rischia di interferire nel procedimento che trasforma la memorizzazione di dati in un numero compreso tra il 18 e il 30. E se ci si tiene troppo vicino al 18 il numero finale sarà più basso, e quindi saranno più basse le possibilità di ottenere sufficienti risorse economiche dalla memorizzazione di dati. Il mercato del lavoro iniquo non si critica. Perché il sogno della maggioranza dei ragazzi italiani è entrare in un mercato del lavoro iniquo, per poi scalarlo, e sfruttare la propria posizione lavorativa per assaporare fino in fondo l’eccitazione delle disuguaglianze, di conto corrente e di potere.
E intanto in Turchia gli studenti universitari occupano Gezi Park per rivendicare uno sviluppo urbano sostenibile. Gli studenti universitari del Brasile invadono le strade di San Paolo, a decine e decine di migliaia, per mettere in discussione il modello di sviluppo economico perseguito dal loro Governo. Tutti insieme. Perché i problemi collettivi vanno affrontati collettivamente, anche a rischio di essere picchiati, di essere arrestati, di essere colpiti da gas urticanti o proiettili di gomma. Ma in Italia non c’è tempo per discutere di queste cose. Gli altri ragazzi staranno anche cercando di cambiare il Mondo. Ma qui è iniziata la sessione di esami. Non disturbate gli studenti italiani.

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